A tavola con lo chef sul tetto del mondo (di Paola Drera)

CHEF HIMALAIA Guinness record d foto MID DAY  Forse vi sarà capitato di fare una bella gita in montagna, con annessa lunga camminata per raggiungere una baita sperduta dove pranzare. Grande soddisfazione per l’impresa di arrivare alla meta senza auto e qualcuno, sicuramente romanzando un po’ l’esperienza, avrà raccontato agli amici delle difficoltà superate, del dislivello, della fatica e del gusto di consumare un pasto tra alte vette e aria frizzantina. Lungi da me minimizzare il vostro successo ma… per qualcuno siete davvero dei dilettanti!
Quel “qualcuno” è  Sanjay Thakur, chef indiano nato tra le montagne e protagonista nei giorni scorsi di un’impresa davvero sorprendente: allestire un ristorante pop up al campo base dell’Everest, nella catena dell’Himalaya.
Partito da Lukla, città nepalese a quota 2600 mt., dopo 8 giorni di trekking insieme ai suoi assistenti ha raggiunto il punto di partenza per la scalata al gigante di roccia a oltre 5000 mt di quota e ha cucinato un pranzo per pochissimi quanto avventurosi commensali.
Gli ingredienti di tutte le sette portate sono state il risultato del foraging che è stato fatto durante il trekking verso il campo base. Un percorso degustativo completamente  biologico, cucinato in una tenda per ripararsi dal vento e dimostrare che si può creare un ristorante sull’Everest e poi smantellarlo senza alcun impatto ambientale. Il principale obiettivo del progetto (perché di questo si tratta, non certo di una sfida fine a sé stessa) è porre l’attenzione sui temi della sostenibilità. Nel tempo gli esperti si sono resi conto della diminuzione della vegetazione e delle specie animali per effetto del cambiamento climatico e c’è la volontà da parte di chef Thakur di lanciare un messaggio a salvaguardia del territorio himalayano.  DSCN2644 72p
Per ovviare, invece, alle conseguenze dell’altitudine che fa diminuire la percezione del gusto, sono state d’aiuto le spezie. Queste ultime, insieme alla cottura sotto vuoto, sono state una delle caratteristiche di quest’esperienza che mirava anche alla custodia e al rispetto delle tradizioni della cucina indiana e nepalese perduta.
Il Nepal è un paese lungo e stretto, incastonato tra le montagne più inaccessibili al mondo, con la Cina da una parte e l’India dall’altra. Per la sua posizione così defilata e difficilmente raggiungibile, è un luogo ancora fortemente legato alle proprie tradizioni e alla propria cultura, dotato di un fascino misterioso. L’armonia tra uomo e montagna si assapora anche nella sua gastronomia, in sintonia con l’ambiente e al tempo stesso dipendente da esso. In condizioni estreme come quelle del territorio nepalese occorre adeguarsi alla natura per le coltivazioni ma riuscire anche a creare cibi adatti a sostenere il fisico contro le avversità climatiche.
Ai vari cumino, coriandolo e paprika  onnipresenti nei piatti, si aggiungono ingredienti valorizzati al massimo in decine di diverse cotture e combinazioni: pomodoro, cipolla, zenzero, peperoni e aglio, per non parlare del peperoncino, vero punto di orgoglio. D’altra parte la vicinanza con il Tibet, a forte influenza cinese, ha introdotto piatti di più marcata componente proteica, come quelli a base di pasta e carne: yak, detto anche bue tibetano, pollo e agnello sono ciò che serve per reintegrare le energie spese per affrontare le montagne della regione.
I sapori delle pietanze risultano essere un po’ una sfida per i nostri palati, ma d’altra parte anche andare in Nepal non è cosa da tutti. O no?
Paola Drera