Congresso Fijet, back to Marrakesh

Che esperienza esaltante ritrovarsi ancora a Marrakesh, immersi in una città che rimanda ai tempi più remoti delle origini, le linee e i colori delle architetture che si armonizzano con lo stile occidentale dei ristoranti e delle boutiques e richiamano, il fascino della città imperiale cui il Marocco deve il suo nome. Quest’anno, dopo la fantastica esperienza del 2004, la Fijet vi ha tenuto il suo 55° Congresso. Con la delegazione abbiamo ripercorso le strade della “Città Rossa” e di nuovo è stata una magnifica sorpresa. Ancora una volta non ho potuto sottrarmi al fascino di Piazza Jemaa el Fna e il profumo di te alla menta e pane appena sfornato hanno riacceso in me vecchi ricordi.
Al mattino, la piazza, è un chiassoso mercato dove le grida dei venditori si mischiano alle voci dei gabbiani e, dai vassoi argentati, i bicchierini di te passano da una mano all’altra. Come amo questo luogo così caotico e variopinto, brulicante di un’umanità varia e sconcertante: cantastorie, giocolieri, musicisti, cartomanti, tatuatrici, danzatori berberi, incantatori di serpenti, venditori di dentiere e medicinali miracolosi, scimmie, e infine i famosi venditori d’acqua con i vestiti rossi, i grandi cappelli e le molte borracce di pelle. Tutti insieme danno vita a un fantastico teatro all’aperto dove ognuno recita con maestria la propria parte in un coro di voci gridate e cantate, riportandoti ad un tempo infinitamente lontano.
Questa piazza dal nome un pò macabro, “la riunione dei trapassati”, è il posto più vivo e animato della città. Il nome gli viene dal fatto che in passato, in questo luogo, venivano lette le sentenze capitali e, dopo le esecuzioni, esposte le teste dei giustiziati.
Dopo una pausa nelle ore più calde, Jemaa el Fna cambia volto: rotoli di stoffe colorate, erbe medicinali, datteri e uova di struzzo, cedono il posto a banchetti con tavole e panche, dando vita a un immenso ristorante dove, all’imbrunire, l’odore del kebab intride l’aria e puoi mangiare veramente di tutto. E la qualità è veramente straordinaria.
Questa piazza è un luogo autentico e molto vissuto dagli abitanti del luogo. Soltanto poche attività sono rivolte ai turisti, infatti anche i venditori di souvenirs sono disposti lungo il lato nord, dove iniziano i souk.
I souk.... in questo nome una promessa di forme, colori, suoni, odori. Dalla piazza enorme e soleggiata si entra in un groviglio di stradine coperte da tettoie di canne che creano un’atmosfera completamente diversa, di penombra e sottili tagli di luce. Qui le botteghe si susseguono e negozi di ogni tipo espongono le loro mercanzie. Si cammina titubanti per i vicoli, perchè ogni volta che giri l’angolo c’è un bivio, decidi dove andare e ti ritrovi ad un altro bivio, un labirinto inquietante che sembra quasi pericoloso. Invece l’unico pericolo qui sono le vespe e i motorini che veloci sfrecciano carichi di frutta o altre mercanzie per le strette viuzze. “Balek”, gridano i conducenti per avvisarti del passaggio ed è un’espressione che ti conviene imparare presto se non vuoi venirne travolta.
In questa immensa esposizione di oggetti e reperti di ogni genere, lampade, babbucce, ceramiche, borse, bigiotteria, spezie, tappeti, ci si sente frastornati.
Nel souk gli antichi mestieri sono la testimonianza di un tempo vivo e presente: osservi gli artigiani e resti affascinata e rapita. Tre botteghe mi sono entrate nel cuore: quella del fabbro, del fornaio e della manifattura di tappeti. Il fabbro, fra mille scintille, lavorava i pezzi di una vecchia bicicletta per trasformarli in una lampada. Nell’antro del fornaio invece il tempo pareva essersi fermato: le crepe sui muri, il giaciglio, i colori cupi e rossastri dell’insieme, ti rimandavano ai dipinti fiamminghi e se non fosse stato per uno sgangherato stereo sembrava di essere entrati nella macchina del tempo. Quando poi esci dal souk Zarbia, ancora con l’odore acre delle tinte nelle narici e negli occhi gli intriganti disegni dei tappeti, stilemi arcaici dell’antico sapere berbero, scopri dentro di te l’illusione di aver familiarizzato con questo antico popolo vissuto sulla catena dell’Atlante.
Insomma questa fascinosa città non ti delude mai. Percorro la via del ritorno verso l’hotel con la mente ancora pervasa di suoni, immagini e colori e con una sensazione inebriante di felicità che una giornata così intensa mi ha regalato.

Cecilia Nonnis